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Riflessioni sulla Giornata della Donna secondo una prospettiva linguistica

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Otto marzo. Da bambina, onestamente, era tutto più facile. Otto marzo = festa della donna. Un po’ di auguri dati e ricevuti, qualche ramo di mimosa, forse un grazie in più, un po’ di ironia che oggi, credo, sarebbe stata tacciata come “politicamente scorretta”. Famosa, a tal proposito, la frase che Salvatore rivolge alla moglie nel film “Cosí parlò Bellavista” (1984) per impedirle di partecipare alla manifestazione programmata, appunto, per l’8 marzo (“quando faranno la manifestazione della cameriera andrai pure tu”).

Poi, a seguire, andando avanti negli anni, sono arrivate, ferme restando le intramontabili mimose corredate da auguri, e magari anche da prodotti di pasticceria, le possibilità ludico/ricreative: dalla cena “solo donne”, possibilmente ben condita da alcool, allo striptease maschile. Il tutto accompagnato dal (possibilità, concessione, auspicio, realtà? Boh!) “dovrebbe essere sempre l’8 marzo”. Per arrivare, non so dire bene quando e come, alla svolta: da “festa della donna” a “giornata internazionale della donna”.

Svolta? In realtà credo si tratti più di un ritorno alle origini, dal momento che nel lontano 1922, anno in cui fu istituita in Italia, l’8 marzo non individuava una giornata di festa ma, appunto, “la giornata internazionale dei diritti della donna”. Quello che è venuto dopo ancora, ossia questo accanimento il più delle volte generatore di cacofonie, a mio vedere, sulle parole, un po’ mi stranisce e un po’ mi fa sorridere.

L’avvocata, la ministra, la giudice (o giudicessa??), l’ingegnera, e quanto altro ancora, su cui ci stiamo arrovellando, ci focalizza sulle parole facendo perdere di vista il linguaggio. I linguaggi, ahimè, mi sembrano quasi tutti ancora “maschili”. Il maschio “aiuta in casa”, “aiuta con i figli”, “solleva dai lavori domestici”, giammai sia detto che “fa la sua parte”.

La sessualità è ancora più intrisa di questa dialettica: davanti ad un tradimento, se ci pensiamo, quando si attribuisce a lei la responsabilità, non è difficile che la “lei” sia tacciata di meretricio; quando, invece, le leggerezze (magari ripetute) sono responsabilità di un lui non è difficile sentir dire che la “lei” o le “lei” con cui l’uomo si unisce siano, appunto, delle meretrici (lo so, lo diciamo in modo più crudo ma credo che qui, appunto, sia il caso di fare attenzione al linguaggio).

Insomma, o che lo si metta in atto o che lo si subisca, il tradimento in amore vede sempre attiva, da qualche parte, una donna di facili costumi. Certo il linguaggio è fatto di parole ma le parole, senza una dialettica coerente allo scopo, corrono il rischio di restare, appunto, solo parole.

https://www.irno24.it/riflessioni-sulla-giornata-della-donna-secondo-una-prospettiva-linguistica

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