Lo sviluppo del linguaggio tra normalità e patologia

I bambini nascono già “programmati” per parlare ed ascoltare.

Fin dal grembo materno il bambino riconosce le caratteristiche della lingua di appartenenza ed alla nascita risponde prontamente alle sollecitazioni linguistiche che gli vengono proposte dagli adulti.

Anche le capacità espressive sono precocissime. Basti pensare che già a partire dai due – tre mesi di vita iniziano a comparire i primi vocalizzi e che il pianto del neonato ha la capacità di differenziarsi a seconda dei bisogni che deve veicolare all’esterno (chi vive a contatto con bambini piccoli sa benissimo che il pianto utilizzato per comunicare la fame è diverso da quello che segnala, invece, il bisogno di essere cambiato o preso in braccio).

Le tappe evolutive che descrivono lo sviluppo delle funzioni linguistiche del bambino sono state puntualmente descritte dagli esperti e forniscono una mappa che permette di comprendere se il linguaggio sta evolvendo correttamente.

A sei – sette mesi ha inizio la “lallazione”, il bambino, cioè, inizia a ripetere delle sillabe dando luogo ad un suono melodico. E’ possibile interagire con il piccolo con dei giochi che prevedono l’alternanza dei turni favorendo così lo sviluppo della conseguente capacità di attendere o anticipare una risposta.

Tra i nove ed i tredici mesi fiorisce il vocabolario; il bambino riesce a produrre le prime parole/segnale (mamma, papà, o il nome di alcuni cibi graditi) ma anche la comunicazione non verbale conosce una grande fioritura: il piccolo utilizza la gestualità per mostrare, offrire, fare richieste.

A questa età le capacità di comprensione sono molto più sviluppate di quelle relative alla produzione dal momento che il bambino è in grado di comprendere un gran numero di parole e di “leggere” molte situazioni non verbali (espressioni del viso, intonazione della voce, gesti che veicolano accoglimento o aggressività).

A due anni le capacità espressive e di comprensione si arricchiscono ulteriormente: il piccolo può riuscire a comprendere più di seicento parole e ne utilizza circa duecento. In tale epoca dovrebbero iniziare a comparire le frasi nucleari (“mamma là”; “papà via”).

Raggiunti i tre anni (e quindi con l’ingresso nella scuola dell’infanzia) le possibilità comunicative legate al linguaggio consentono una vita relazionale più intensa e dovrebbero fornire gli strumenti per inserirsi nei contesti esterni alla famiglia: il piccolo inizia a comprendere alcuni concetti topologici (sopra, sotto, davanti, dietro), usa circa ottocento parole riuscendo a comporle in una frase che può essere definita “espansa” (composta, cioè dal soggetto dal verbo e dall’oggetto), sono presenti gli articoli, gli aggettivi ed i pronomi.

Al termine della scuola dell’infanzia, ossia tra i cinque ed i sei anni, lo sviluppo linguistico è fondamentalmente raggiunto nelle forme essenziali: il bambino usa circa duemila parole e ne comprende forse anche di più, utilizza le frasi subordinate, le forme interrogative e quelle passive. I tempi sono dunque maturi per l’ingresso nella scuola dell’obbligo dove il piccolo alunno sarà esposto alle regole proprie della lingua, alla grammatica, all’espansione del vocabolario.

In realtà non tutti i bambini riescono a seguire le tappe dell’evoluzione linguistica precedentemente esposte, è possibile che nel corso dello sviluppo i piccoli presentino dei disturbi del linguaggio ossia che si verifichino dei ritardi o delle alterazioni significative nell’espressione e/o comprensione linguistica rispetto ai pari età. E di questo ci occuperemo nella seconda parte di quest’articolo

Le difficoltà linguistiche possono essere secondarie rispetto ad altre patologie: deficit uditivi, ritardo mentale, disturbo motorio a carico dei movimenti oroglossofaringei (bocca-lingua-gola), disturbi riconducibili al Disturbo Generalizzato dello Sviluppo. In tali casi il problema linguistico rappresenta uno dei diversi aspetti della patologia che colpisce il bambino.

In altri casi, invece, la difficoltà linguistica è di tipo primario ossia si presenta in assenza di deficit cognitivi, sensoriali, motori, affettivi o di importanti carenze socio-ambientali. In definitiva il bambino, pur avendo seguito uno sviluppo consono all’età per quanto riguarda le altre tappe evolutive, non è in grado di fornire prestazioni linguistiche (intese sia come comprensione che produzione) adeguate alla sua età cronologica.

E’ necessario chiarire che ogni bambino segue un percorso evolutivo proprio e che le tappe precedentemente descritte forniscono un criterio – guida di tipo orientativo. Esiste in definitiva una variabilità per cui mentre alcuni bambini acquisiscono alcune competenze linguistiche molto precocemente altri hanno bisogno di un tempo maggiore.

E’ fondamentale conoscere e seguire, anche nel caso del linguaggio, delle “buone norme”. L’uso protratto di biberon e ciucciotti, ad esempio, ostacola il corretto sviluppo di palato ed arcata dentaria e, dunque, ha effetti negativi anche sulla produzione linguistica.

I cibi solidi andrebbero introdotti in epoca permettendo così al bambino di sperimentare le capacità funzionali della propria bocca ma anche di rafforzare la muscolatura coinvolta nelle attività di fono articolazione

L’esposizione alla lingua favorisce lo sviluppo delle competenze comunicative e dunque importante che gli adulti dedichino del tempo a parlare con i bambini utilizzando illustrazioni, giocattoli ma anche giochi corporei per poter favorire lo sviluppo linguistico.

L’assenza o la marcata alterazione delle tappe evolutive precedentemente descritte deve costituire, tuttavia, un campanello d’allarme e deve, pur senza angoscia, allertare gli adulti chiamati a vario titolo ad occuparsi dei bambini.

In linea generale è da tener presente che un mutismo completo dopo i diciotto mesi o un linguaggio estremamente povero e/o non comprensibile a tre anni devono attivare una richiesta di approfondimento diagnostico.

Lo specialista chiamato ad effettuare un preciso inquadramento è il foniatra mentre il neuropsichiatra infantile potrà dare un elevato contributo nella valutazione globale del bambino individuando eventuali difficoltà in altri ambiti di sviluppo (motorio, sociale, emotivo – relazionale).

Solo in seguito ad una corretta diagnosi sarà possibile indirizzarsi ad un percorso abilitativo corretto che, nel caso dei disturbi del linguaggio, viene condotto, a seconda dei casi, o dal solo logopedista o da un team di esperti (logopedista psicomotricista psicologo).

 

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