La famiglia  

Cos’è la famiglia e, soprattutto, qual è il limite, la demarcazione tra una “famiglia sana” ed una invece “problematica”?

Quali elementi permettono ad una famiglia sana di continuare nel proprio cammino e cosa invece può essere fatto per cercare di modificare le dinamiche interne ad un nucleo disfunzionale?

Queste le domande alle quali cercherò di rispondere nelle pagine che seguono.

Tra le tante definizioni possibili del termine “famiglia” mi sento particolarmente legata a quanto sostiene la letteratura di stampo sistemico – relazionale per la quale: le famiglie sono costituite da coloro che hanno un passato ed un futuro in comune; la famiglia incorpora al suo interno nuovi membri esclusivamente attraverso la nascita, l’adozione (formale o informale) o il matrimonio e l’abbandono del gruppo da parte dei suoi membri avviene unicamente con la morte. (cfr.Blangiardo e Scabini, 1995).

La prima parte della definizione mette bene in luce l’imprescindibile dimensione temporale che lega tra loro, indipendentemente da altri fattori, i membri di uno stesso nucleo. Il secondo aspetto sta divenendo nel corso degli ultimi anni sicuramente più complesso. La comparsa di nuove modalità di “fare famiglia” è sotto gli occhi di tutti per cui, al di là del modello di famiglia genitoriale classica (ossia un nucleo che comprenda i genitori ed i figli), stanno statisticamente aumentando nuove tipologie: le famiglie monogenitoriali (che comprendono cioè un solo genitore impegnato nella cura dei figli); le famiglie ricostituite (nuclei formati da un genitore che, a seguito di un divorzio, ha formato un nuovo legame di coppia inserendo nel nuovo menage i figli della precedente unione ma, anche, eventuali nuovi nati); famiglie transculturali (dove uno o entrambi i genitori provengono culture diverse da quelle del paese in cui vivono) fino ad arrivare alle famiglie omogenitoriali (in cui sono presenti genitori dello stesso sesso).

Al di là del tipo di famiglia a cui apparteniamo e di come si sia formata o evoluta nel tempo è di fondamentale importanza riflettere sul fatto che tale appartenenza è la più profonda e radicata della nostra esistenza dal momento che solo la morte può sancirne l’abbandono.

Molti fallacemente credono che non avere contatti con la propria famiglia per anni o rinnegare le appartenenze possa sancire una reale rottura con le proprie origini senza tener conto dei profondi legami che ci uniscono alle famiglie a cui apparteniamo. Certamente ognuno di noi, con il trascorrere degli anni, complessifica la propria esperienza entrando a far parte di uno o più nuclei (senza tener conto di quello primario che ci ha generato) ma vive di illusioni quando pensa di poter annullare, senza lasciare traccia o conseguenze, quanto ha costruito o ha contribuito a costruire.

Ma a cosa serve la famiglia?

La famiglia, rifacendosi ad un meccanismo che ricorda la biochimica cellulare, media gli scambi tra il “dentro” ed il “fuori”. La famiglia, in quanto unità strutturata, persegue, in realtà quasi indipendentemente dalla consapevolezza dei propri membri, un obiettivo interno che permette non solo di provare emozioni ma, anche, di cercarne i significati ed un obiettivo esterno che mira ad ottenere l’integrazione, la propagazione e la riproduzione di una cultura di riferimento (cfr: Baldascini, Pannone, 1991).

La famiglia deve essere in grado di modificarsi continuamente in un costante divenire caratterizzato sì dall’equilibrio ma di tipo dinamico.

Solo in quest’ottica è possibile comprendere la vera natura delle funzioni, apparentemente contrastanti tra loro, che la famiglia deve svolgere, per potersi definire funzionale.

Una famiglia “sana” deve essere in grado di svolgere alcuni compiti fondamentali: accogliere, elaborare, spingere, contenere.

Quando accoglie la famiglia consente la nascita dell’individuo; con questo processo si riconosce l’individualità di ogni membro pur collocandolo all’interno di un intreccio generazionale.

E’ l’accogliere che fornisce il sostegno e la forza necessari per affrontare il “compito originario” dell’individuo (cfr Erikson 1982) ossia andare alla ricerca di modi che rendano il ciclo della propria vita un’esperienza unica e coerente.

L’accogliere riconosce il diritto di essere di ciascuno di noi e non si esaurisce con la nascita.

La coppia che genera un figlio, se è in grado di accogliere, offre al nuovo nato un terreno fertile da cui potrà trarre nutrimento. L’elemento che genera salute all’interno del nucleo familiare non è tanto la capacità iniziale di accoglienza ma piuttosto la reiterazione dell’offerta di accoglimento che deve potersi ripetere infinite volte (sia in senso reale che simbolico) e con modalità sempre diverse.

Una famiglia che accoglie garantisce ai propri membri una sorta di “diritto di cittadinanza” nel mondo, ossia la fiducia di sé che caratterizza gli individui sani.

La funzione di accoglimento tiene conto soprattutto degli aspetti affettivi, emotivi, dei rapporti familiari, mentre il concetto di elaborazione ci spinge a riflettere sugli aspetti cognitivi che contribuiscono a fondare la capacità di relazionarsi dell’individuo.

La capacità di elaborare posseduta da una famiglia le consente di riconnettersi al “familiare” (cfr. Scabini, Cigoli, 1991) ossia all’intreccio delle generazioni passate che, se viene riconosciuto, come matrice dinamica e non solo come paradigma a cui rifarsi pedissequamente, permette al nucleo nella sua interezza di vivere pienamente il presente e di proiettarsi costruttivamente nel futuro.

In buona sostanza “Attraverso l’accoglimento la famiglia assicura una continuità offrendo (ed offrendosi) la possibilità di esistere, mentre attraverso l’elaborazione assicura una continuità al suo racconto e trasmette ai nuovi nati le matrici dei significati che possono, a loro volta, generare e rigenerarsi”. (Baldascini, 1997).

E’ attraverso l’elaborazione che il sistema familiare riesce a decodificare, a dare senso a quanto accade nella relazione con l’esterno. E’ con l’elaborazione che le famiglie riescono ad entrare in contatto con i propri valori e miti ma anche con le proprie debolezze e con i pregiudizi che la contraddistinguono.

E’ attraverso l’elaborazione che si entra in intimo contatto con la propria storia familiare ma è sempre l’elaborazione che ci permette di relativizzarla assicurando lo spazio per quella riflessione che permetterà agli individui sani e creativi di raggiungere l’autonomia e l’originalità necessarie per divenire individui e non solo propaggini della propria famiglia.

Con la terza funzione, lo spingere, la famiglia si assicura la possibilità di oscillare tra attaccamento e separazione rispondendo così all’esigenza di ogni individuo di essere parte di un legame emotivamente coinvolgente ma, anche, di poter sperimentare la solitudine, la conoscenza di spazi mentali, sociali e fisici esterni.

Il saper padroneggiare tale funzione, presente in tutte le tappe del ciclo vitale, diviene fondamentale nei nuclei con figli adolescenti. E’ proprio in questa fase infatti che i figli sentono la necessità di sperimentare ma avendo a disposizione una sorta di “rete di protezione” che accoglie le eventuali cadute attutendo i colpi e consentendo un ritorno alle origini se non una momentanea regressione nel caso di esperienze troppo forti o, addirittura, spiacevoli.

E’ soprattutto la presenza di una coppia genitoriale salda a garantire un corretto utilizzo di tale funzione. Un padre ed una madre capaci di cogliere l’essenza di tale fondamentale funzione saranno in grado di lasciare andare fiduciosamente, senza abbandonare o minacciare rabbiosamente contro il tradimento subìto o paventando pericoli e delusioni a chi si affaccia timidamente sulla soglia del grande mondo.

E’ imparando a “spingere” che i genitori riescono a fare proprie le bellissime parole che Gibran scrive a proposito dei figli:

E una donna
che teneva un bambino al seno disse:
“Parlaci dei figli”.
Ed egli disse:

I vostri figli non sono vostri figli.
Sono figli e figlie del desiderio ardente
che la Vita ha per se stessa.
Essi vengono per mezzo di voi,
ma non da voi.
E benché siano con voi,
non vi appartengono.

Potete dar loro il vostro amore
ma non i vostri pensieri,
poiché essi hanno i loro pensieri.
Potete dar alloggio ai loro corpi,
ma non alle loro anime,
poiché le anime
dimorano nella casa del domani,
che voi non potete visitare
nemmeno nei vostri sogni.

Potete sforzarvi di essere come loro:
non cercate però di renderli come voi.
La vita, infatti, non torna indietro
né  indugia sul passato.

Voi siete gli archi
dai quali i vostri figli
come frecce viventi son lanciati.
L’arciere vede il bersaglio
sul sentiero dell’infinito
e vi piega con la sua potenza
perché le sue frecce
volino veloci e lontane.

Lasciatevi piegare con gioia
dalla mano dell’Arciere;
poiché come egli ama la freccia che vola
così ama pure l’arco che è ben saldo”.

 

La quarta funzione, il contenere, richiama uno dei compiti più discussi delle famiglie.

Fin dalla fase perinatale la coppia genitoriale è chiamata a svolgere tale mansione contenendo non solo fisicamente il bambino ma anche fornendo risposte ai suoi primi e confusi bisogni emotivi e relazionali oltre che, ovviamente, fisici.

Una famiglia in grado di contenere è in grado di “tenere insieme” le angosce esistenziali e le sofferenze psichiche che il processo di differenziazione e di crescita inevitabilmente comporta. Per poter essere realmente efficace il processo di contenimento deve, tuttavia, conoscere anche una fase di rielaborazione e di restituzione di tale materiale reso “digeribile” e dunque utilizzabile dal nucleo nella sua interezza.

Una famiglia sana è in grado di utilizzare dinamicamente tutte e quattro le funzioni precedentemente descritte. Con un meccanismo di autoregolamentazione che, naturalmente, può conoscere crisi e momentanee interruzioni; un nucleo “in buona salute” riesce a individuare la funzione che deve salire alla ribalta lasciando indietro (senza tuttavia farle scomparire del tutto) le altre.

Una coppia che si appresta a generare un figlio deve, ad esempio sollecitare soprattutto la capacità di accogliere, se ciò non accade si possono generare delle patologie familiari legate al rifiuto dell’altro al suo non riconoscimento come parte di un “noi”.

Una coppia che ha deciso di sancire la propria unione deve fare i conti con la capacità di elaborare. Ogni membro della coppia deve poter riconoscere ed accettare non solo la propria matrice (i legami con la famiglia d’origine) ma anche quella del partner per poter poi intraprendere la strada della sana differenziazione che porterà alla creazione di un nuovo nucleo che, pur non disconoscendo le origini, sarà in grado di distinguersene.

Quando ciò non accade si possono incontrare vari tipi di disarmonie familiari: un totale appiattimento verso miti, valori, credenze, preconcetti delle famiglie di origine che darà luogo a quelli che definisco “matrimoni emotivamente non consumati” dove ognuno dei partner rimane acriticamente legato al sistema familiare originario; una fuga dalle proprie radici che può generare una sorta di “apolidi” emotivi, soggetti senza patria che accettano supinamente il sistema di riferimento dell’altro senza contribuire in alcun modo a crearne uno ex novo.

Una famiglia che accoglie al proprio interno figli adolescenti o, ancor di più, giovani adulti deve entrare in contatto con la propria capacità di spingere, stimolando e proteggendo al tempo stesso il necessario altalenarsi tra attaccamento e separazione.

L’equilibrio è, come sempre, di tipo dinamico, se si indugia troppo sull’attaccamento mancherà la forza di intraprendere nuove strade, se si rimarrà eccessivamente attratti dal desiderio di separazione si sarà portati, invece, a ricercare situazioni particolarmente pericolose (al cui estremo possiamo trovare le fughe da casa o il far parte di sette e culture distruttive).

La funzione del contenere si presenta sulla scena con la nascita di un bambino che deve essere contenuto prima fisicamente (nel ventre della madre) e poi anche emotivamente permettendogli di sperimentare tutte le possibili negatività (angoscia, frustrazione, solitudine, rabbia) senza esserne distrutto.

Una famiglia che non è in grado di contenere può ostacolare in vario modo il processo di crescita (non riuscendo, ad esempio, a bloccare l’accesso a forme di dipendenza patologica), viceversa, una famiglia che contiene eccessivamente ostacolerà tutti gli slanci vitali di differenziazione permettendo il viraggio verso patologie che hanno al proprio nucleo la tendenza all’ipercontrollo.

Cosa fare per poter aiutare le famiglie problematiche o in difficoltà? Fondamentale è il riuscire ad effettuare due passaggi: avere piena consapevolezza della funzione debole, mancante o in antitesi eccessivamente sviluppata se non addirittura assolutizzata rispetto alle altre e poi, così come farebbe un bravo allenatore, bisognerebbe stimolare il nucleo a ricercare l’armonia garantendo così un equilibrato funzionamento di tutto il sistema e rendendolo pronto a trovare il suo vento per viaggiare nel grande mare della vita.

 

Bibliografia

  1. Baldascini L. “L’adolescente e la sua famiglia: una transizione sincronica” Franco Angeli, Milano, 1997;
  2. Baldascini L. “Vita da adolescenti. Gli universi relazionali, le appartenenze, le trasformazioni, Franco Angeli, Milano, 1993 (sec. ediz. 1996);
  3. Baldascini L. “Le voci dell’adolescenza”. Franco Angeli, Milano, 1995;
  4. Blangiardo G. C. e Scabini E., ”Ciclo di vita della famiglia. Aspetti psicosociali e demografici”, in Scabini E. e Donati P. (a cura di), ”Nuovo lessico familiare”, Vita e Pensiero, Milano, 1995;
  5. Erikson E.H., I cicli della vita. Continuità e cambiamento, Armando, Roma, 1984 (ed. orig. 1982);
  6. Pannone F., “Famiglia e tossicodipendenza”, Quaderni di Medicina e Chirurgia, vol.7, 1991;
  7. Scabini E., Cigoli V., L’identità organizzativa della famiglia, in AA. VV., Identità adulte e relazioni familiari, Vita e Pensiero, Milano, 1991.